MODICA – E’ in un giorno dei primi di giugno che qualcuno prende il discorso: “Quest’anno le conserve di pomodoro quando le facciamo?”. Si pianifica per bene, il giorno in cui “fare le bottiglie”. E’ un insieme di sapienza, tradizione e superstizione. La luna deve essere in fase crescente, ché i pomodori sono più pieni di polpa. Si sceglie la ricetta dell’anno, ché non si fa la salsa con un solo tipo di pomodori. Si chiama l’agricoltore e si prenotano i chili che serviranno. La salsa si fa in famiglia e per la famiglia, e per famiglia si intende non meno di qualche decina di persone che ne mangeranno durante l’anno a venire. Donne e uomini sono indistintamente coinvolti nel rito, ognuno con un ruolo preciso, che non cambia nel corso degli anni. Chi carica, chi lava, chi “spiricudda”, chi cuoce, chi passa, chi imbottiglia, chi “leva cosi ro mienzu”. E le donne in stato di indisposizione, spiacenti, ma non possono partecipare. E nemmeno toccare. E nemmeno guardare. Altrimenti le bottiglie “scoppiano”.
Un giorno intero dedicato a questo rito, da mattina fino a pomeriggio. Dalla cottura fino all’imbottigliamento. In quel caldo giorno il pranzo comune è il più profumato dell’anno, con la pasta col pomodoro fresco, e la melanzana fritta sugli spaghetti, sovrastati da una foglia di basilico appena colto e una spolverata di caciocavallo. Sapienza che si manifesta ogni anno e che si custodisce tra i ricordi più belli di chi vive questo momento. Si conserva, per l’appunto, fatalmente, per previdenza: si conserva il cibo e si conserva la tradizione.
Pomo d’amore per i francesi, per via di presunte proprietà afrodisiache, pomo d’oro secondo i primi trattati che lo citano, ché la prima varietà importata era di colore giallo, è esempio meraviglioso di un bene che diventa ricchezza e tradizione partendo da un processo di integrazione globale. Viene importato nel 1500 dalle Indie Occidentali, coltivato presso le corti europee per ornamento e solo dopo assurto a cibo, e solo ancora più tardi capace di essere conservato facilmente caldissimo appena cotto dentro bottiglie di vetro. I semi sono studiati e commercializzati da Israele, i germogli vengono cresciuti nella torba scandinava, il frutto maturato e raccolto sotto il sole del Mediterraneo. Il pomodoro è frutto. Frutto non solo della terra, ma anche della civiltà del mondo, e dell’uomo che cerca, scopre, e condivide. Una ricchezza contenuta in un pugno che, sebbene non tutti siano a conoscenza della sua storia, riunisce famiglie intorno a rituali e persone intorno a tavole imbandite.
A tavola ogni politica si annulla. A tavola si fa sul serio. A tavola si fa l’Umanità.
Alessia Scarso – SanoSano Magazine 16 aprile 2018