Olivia è immobile, minuscola e minuta, sulla pedana davanti ai giudici.
Ha paura, come solo una bambina può averne in una competizione nazionale.
E’ la mente, che deve guidare il corpo, in questo momento.
Non solo nel movimento, ma sopra ogni cosa nella motivazione.
Olga Korbut, ginnasta incantatrice di pubblico, diciassettenne, alle Olimpiadi del 1972 nell’attrezzo dove sapeva eccellere fece una prova disastrosa. Pianse.
Olivia, paralizzata, alza le braccia per il saluto di rito.
E’ il via al suo momento. Sembra infinito. E piange.
“C’è ancora qualcosa che posso fare”, si disse Olga, nel 1972.
Ed è lì, sui primi passi della corsa di Olivia, dopo tre piedi per terra, che erompe.
E’ lì che si incendia il fuoco, avvampa il fulgore, si accende la luce, quella brillante, abbagliante, folgorante che separa la paura dai sogni.
E’ lì che ci si innalza su tutto.
La rincorsa diventa corsa, lo sguardo si serra in avanti, la passione la prende con sé e salta nel vuoto.
Olivia continua il resto della gara.
Così fece anche Olga, che si sentì come avesse sette anni mentre ballava su un prato all’aria aperta.
Olivia, sette anni tra due giorni, mi ha mostrato la scintilla che si accende quando si sveste la paura.
Ho visto il coraggio dialogare con il timore e mi sono resa conto che è solo un attimo.
Non è pensiero. E’ istinto.
Olga vinse la medaglia d’oro.
Olivia diventa campionessa italiana.
E’ a sette anni, che si può insegnare a sorridere al cuore.
Alessia Scarso